venerdì 22 febbraio 2008

SIAMO SOLO CLONI parte prima

Tutto ebbe inizio quando misi piede nel nuovo ufficio...
Il Lucca Comics 2007 era appena finito, gli amici immaginari erano tornati nel limbo dei miei fogli bianchi, ed io avevo un sonno allucinante ed una malinconia devastante.
Entrai in ufficio e faceva freddo, oltretutto.
Stranamente non ero l'ultima, ne mancava ancora una, che arrivò poco dopo che io mi ero adagiata (diciamo più accasciata) sulla sedia da festa dell'unità che mi avevano gentilmente messo sotto al sedere.
Fu con l'ingresso della ritardataria che mi guardai intorno.
Entrò con un sorriso smagliante ed i capelli freschi di parrucchiere, le unghie curatissime, i vestiti perfettamente coordinati tra di loro, un fiocchetto rosa tra i capelli (UN FIOCCHETTO ROSA!) e borsa inquietantemente coordinata con tutto il resto...
Volsi lo sguardo verso le altre ragazze...
Molto meno carine della ritardataria, e con minor ossessione (o presumo solo minor gusto) per gli abbinamenti cromatici, ma ugualmente...terribilmente...spaventosamente...FESCION!
Tranne una.
Goffa, impacciata, decisamente sovrappeso, con il maglione della domenica e la borsa prestata, i capelli appena tinti per l'occasione, che guardava le altre e cercava di imitarne i modi.
Poi guardai me.
Per fortuna non disponevo di uno specchio dove prendere coscenza delle mie occhiaie e dei miei capelli da gatto silvestro appena uscito di lavatrice...ma il resto potevo vederlo e non era proprio all'altezza (se così si può dire) di quei cloni dei cloni dei cloni dei cloni di qualche pupa da realiti sciò o di qualche ulteriore clone di paris ilton.
Me ne stetti zitta ad annuire tutto il tempo, pregando che il momento di andarsene arrivasse presto.
Arrivò.
Ma arrivò anche il primo giorno di lavoro.
Eravamo in ufficio io e la ritardataria.
Tra tutti i cloni mi avevano assegnato lei, che gentili...almeno aveva gusto nel vestirsi.
Almeno distingueva i colori.
Non mi aspettavo che mi sarei così affezionata alla sua ingenuità...
Quando mi guardava con i suoi occhioni blu dicendo con aria ingenua e voce da bambina "sono imbranata, non lo so fare, mi aiuti?"
Una bambolina, la mia Scirlei (così decisi che si sarebbe chiamata).

Le giornate lavorative passavano abbastanza bene.
Avevamo una scrivania a testa, un computer a testa, un telefono a testa.
Io fingevo di essere il Detective Cooper, un investigatore privato degli anni 50 sull'orlo della rovina, che legge il giornale ripiegato e spiegazzato con i piedi sulla scrivania, con il suo cappellaccio da reporter sulla testa e la tazza del caffè vicino.
Lei era la mia segretaria svampita, carina come una stampa della coca cola, a cui chiedevo il caffè e da cui mi sentivo rispondere "non lo so fare, capo"
io con infinita pazienza le facevo notare che..."ma non lo devi fare te, lo fa la macchinetta"
e lei mi zittiva con la sua vocina che scoglie i ghiaccioli "e allora perchè non lo chiedi a lei, capo?"
Tuscè.

Ma.
Le belle cose finiscono presto, oppure vengono drasticamente interrotte da episodi decisamente meno piacevoli.
Improvvisamente mi ritrovai di sabato pomeriggio (tralaltro abbastanza soleggiato e caldo, nonostante la stagione, cosa che faceva salire la mia sociopatia cronica a livelli mai raggiunti prima) in ufficio con gli altri due cloni.
No, non quello goffo e impacciato.
Gli altri due.
Una di loro se ne andò presto, presa da non so che fidanzato o da che impegno socialmente fondamentale.
Rimasi, mio malgrado, sola con l'altro clone, morente.
Si. Morente. Come tenne a specificarmi dopo pochi minuti di rilassante silenzio, durante i quali io ero intenta a svolgere qualche lavoro importante (conversare con persone lontane su emmessenne).
Il clone si trovava nel pieno di quel periodo del mese che affligge il genere femminile, puntuale (quando più quando meno) come un boia all'esecuzione.
Non per questo tutte andiamo in giro a cercare l'attenzione per le nostre tristi ovaie torturate.
Ma vabbè.

"ma è vero che se prendi la pasticca (il famoso moment) a stomaco vuoto ti viene l'emorragia?"
"O__O'' eh?!"
"ahahahahahahah" risata riguardo alla mia distrazione, a quanto pare comica, di circca 5 minuti cronometrabili, seguita dalla frase di cui sopra (di nuovo!)
"mmm...ciai le tu cose!?"
"si..."
"allora hai già l'emorragia..."

SILENZIO IMBARAZZANTE (qualcosa tipo 10 minuti in cui io ho visto un barlume di speranza...che potesse andare avanti così fino alla fine del turno)
appunto n°1. i cloni non capiscono mai le battute

"no...ma io intendevo l'emorragia interna!"
" O___O'' eh?!??!?!?"
"me lo hanno detto..."
"ma....ò.ò"
"davvero..."

Rifletto un momento sul da farsi.
Lancio SOS disperati a quasi tutti i miei contatti in linea.
"se tra due minuti non rispondo mandate i rinforzi"
In quel momento pregai anche di avere abbastanza anticorpi per difendere il mio cervello dalla sua stupidità e scarsi globuli rossi per non far affluire ossigeno così da cadere in un breve ma significativo letargo.

"sai che hai ragione?" le dissi con aria molto convincente
"°O° ecco vedi?!"
"si...una ci morì!"
"..."
"..."

appunto n°2. i cloni ridono su qualsiasi cosa che non sia una battuta

"ahahahahahahahahahahaha" risata degna del racconto più comico mai sentito prima
"guarda..che..."dissi con un certo imbarazzo ed aria grave "davvero...una ci morì..."

Il clone rabbrividì.
"ah..."

Poi calò il silenzio.

appunto n°3. con i cloni bisogna essere drastici.

martedì 15 gennaio 2008

giovedì 10 gennaio 2008

Esistere

Tira una strana brezza da qualche tempo.
Non molto tempo.
Solo un po'.

La ruggine sta piano piano guarendo...
Non so, forse sono io che cerco talmente tanto di ignorarla che ci sto in qualche modo riuscendo.
A volte gratta ancora, lo confesso, a volte sento le pareti dello stomaco che sfregano contro i frammenti rosso-arancione.

Ma non mi va di parlarne.

Sono a tratti felice e a tratti sono.
Esisto.
Questo è quello che mi interessa per adesso, esistere mi sembra già una bella cosa.
Sto conducendo una vita abbastanza impegnata in questo periodo, quindi la vita che conta si sussegue con brevi e significative immagini, come un trailer, come diapositive, come carte sparse.

E mi piace.

Sorrido.
Perchè c'è da sorridere.
Perchè se tutto questo, che fatico a dire, non è soltanto un illusione, si prospetta essere un periodo veramente felice.

Tengo i piedi ben saldati a terra.

domenica 16 dicembre 2007

LA RUGGINE

Sentivo qualcosa nello stomaco. Lo ignorai tenendomi impegnata con altre faccende.
Dopo qualche giorno mi accorsi che quella cosa si era espansa in tutto lo stomaco.
Non faceva male, era solo molto fastidiosa.
Mi chiesi cosa poteva essere e non trovai risposta, così mi misi a fare altro.
Ma questa cosa che mi corrodeva si faceva ogni giorno più grande, mi scavava, mi tormentava, non mi lasciava dormire.
Alla fine vincevo sempre io, o vinceva la stanchezza, o semplicemente vinceva la mia capacità di pensare ad altro.
Dormivo come una bambina, di notte, sognando fiabe a lieto fine, dicendomi che fino a quando ci avrei creduto c'era una speranza che fossero reali.
Una mattina, svegliandomi, sentii qualcosa di strano nel petto.
Stetti in silenzio, quasi senza respirare.
E mi resi conto che era arrivata fino a li.
Si era depositata tutto intorno a quell'organo (di cui adesso mi sfugge il nome), quello che si trova al centro di tutto.
Quello che fa tu-tum e che se smette di battere muori.
Graffiava.
Consumava.
Scavava.
Come ruggine.
Come quella ruggine ruvida che piano piano si mangia tutto.
E rende tutto più fragile.
Pensai di andare dal dottore, dirgli di questo mio problema, farmi fare delle analisi, delle radiografie.
Ma immaginandomi la frase "dottore, ho la ruggine allo stomaco" mi resi conto che forse non era niente di curabile con le medicine.
Mi misi a fare altro.
Questo è il rimedio in attesa del rimedio.
Ignorarla.
Fingere che non esista.
Ogni tanto però, nei giorni a seguire (e temo anche in futuro) qualche goccia di pioggia ci cadeva sopra, nutrendola.
Quando accade mi siedo, mi accendo una sigaretta, e cerco di svuotarmi da tutto.

mercoledì 21 novembre 2007

Soltanto persone

Le persone non sanno dove vanno.
Ma si pongono il problema.

Avevo parlato per la prima volta con dei testimoni di Geova, una donna e una ragazza, che volevano convincermi che sapere come si chiama colui che ci ha creato fosse una questione su cui interrogarsi e tormentarsi.
Gli dissi che se esiste è davvero troppo grande per noi uomini piccolissimi.
"Siamo davvero troppo piccoli"
Gli dissi così.
"E non ti interessa sapere chi è colui che ci guida?"
"Credo che sia una cosa inutile"
Parlammo ancora un po', poi la mia amica che era stanca di starci ad ascoltare le congedò.
Mi accesi una sigaretta.

Durante il pomeriggio bevvi molto, più che altro un amaro calabrese che mi ricordava un altro delizioso alcolico.
Cercai di adottare un ventunenne fiorentino senza successo.
Proprio non ci teneva a farsi pestare il piede per cantare lo yodel.
Mandai imbarazzanti sms ad un amico, dimenticandomi poco dopo di averli scritti.
Mi finsi sobria davanti alla mamma della mia amica, credo con scarsi risultati.
E mi addormentai guardando per la prima volta Hercules, commentando la perdita di qualità dei cartoni disneyani, e quanto fossero superiori i contorni scarabocchiati e gli sfondi come dipinti.
Sognai ogni singolo capello di quella ragazza altissima, gli occhi tristi del ventunenne, le mani violentemente serrate sulla matita della ragazza con gli occhiali, le unghie smaltate di rosso consumato della bionda, le scarpe del ragazzo coi capelli neri ed il suo atteggiamento preciso, la bocca sottilissima e i denti piccolissimi del biondino, gli occhi socchiusi del ragazzo della mia amica, lo sguardo della sua mamma mentre mi mostrava i suoi acquarelli, la calma rilassante del suo patrigno e i loro due sguardi che si incrociavano, la televisione frusciante e disturbata.

Il giorno dopo andammo in centro insieme, leggendo l'oroscopo inutile del City e del Metro.
L'accademia d'arte era il posto dove dovevo stare.
Ero estranea ma mi sentivo perfettamente a mio agio.
Ci incontrammo con i ragazzi che erano alla festa il giorno prima e senza alcol, musica ed euforia erano tutti meno socievoli e gentili.
Tranne quello che volevo adottare, che mi offrì una luky strike da fumarmi dopo il devastante caffè della macchinetta.

Scappai dall'aula di grafica poco dopo, al grido di "Tempesta s'è incazzata".
Tempesta è una professoressa con i lunghi capelli bianchi, gli occhi chiarissimi e la pelle artificiosamente abbronzata.
Me ne tornai alla stazione e mi sedetti ad aspettare il mio treno che sembrava non voler mai arrivare.

La gente correva frenetica.
Si preoccupava.
Parlava.
Fumava.
Mangiava.
Beveva.
La ragazza di fianco a me faceva tutto questo insieme.
Dei ragazzi giapponesi rischiarono di ammazzarsi correndo sul pavimento lucidissimo, per non perdere il treno.
Un piccione arrivò in picchiata vicino a me, scivolando acrobaticamente sul marmo rosso.
I trolley trottavano rotolando avanti e indietro.
Altre persone si alzavano allarmate ad ogni annuncio.

Avevano tolto i cartelli di pane amore e sanità.

Avevo il sole contro.
Le persone erano ombre in movimento.

Le voci delle persone.

Gli sguardi delle persone.

I piedi delle persone.

sabato 10 novembre 2007

Mi guardavo sorridere

Stanotte ho sognato me stessa.
Mi guardavo da fuori.
Ero un'estraneo che guardava la Nuke da non troppo lontano.
Chissà chi avrei potuto essere...
Mi conoscevo, ma come un'altra persona può conoscermi.
Mi trovavo sulle mura di Lucca, con un grande albero dalle foglie rosso acceso alle mie spalle.
Ridevo ed avevo i miei guanti da barbone, tra le dita tenevo una sigaretta artigianale.
La stavo girando quando qualcuno, probabilmente io, mi ha fatto ridere.
Quindi ridevo mentre stringevo la cartina tra le dita, il tabacco che rischiava di scivolare giù.
Mi piacevo.
Ammiravo il modo in cui sorridevo e mi facevo allegria e calore.
Forse mi guardavo con gli occhi di un ragazzo innamorato di me.
Forse l'ammiratore ero io da vecchia.

Ci penso a volte.
A come il mio corpo cambierà col passare del tempo.
A come me ne accorgerò un giorno ritrovando una vecchia foto di me sulle mura di Lucca con i ricci al vento e una sigaretta tra le dita.

Penso alla foto nello studio del mio nonno: un ingrandimento della mia nonna a vent'anni, un costume da bagno antico e un grande cappello di paglia.
Era bellissima.
La nonna non voleva che la tenesse.
Quando va a spolverare, lo so, la guarda e sospira.
Poi torna in cucina e guarda me e la mia cuginetta che litighiamo.
E sorride.
Finge di sgridarmi perchè sono troppo gelosa di una mostriciattola di tre anni, ma poi me le da tutte vinte, come se fossi io la vera bambina.
Prepara da mangiare per la mia mamma e i suoi fratelli.

Io avrò dei figli?
A volte ci penso.
Non che abbia fretta di averne, ho 24 anni.
Mi chiedo semplicemente se ne avrò mai.
Mi piacerebbe.

Molte persone credono che sarei un'ottima madre, perchè vivo in un mondo tutto mio, perchè racconto fiabe, perchè sono la tata di due bambini che mi adorano, perchè sono paziente e so disegnare.
Così dicono.

Sono entrata nella vita della mamma, sconvolgendola, quando lei aveva solo 18 anni, compiuti da poco.
Sei anni fa io avevo 18 anni.
Sei anni fa.

Ho sempre pensato che avrei avuto un figlio molto presto, forse convinta che la cosa fosse ereditaria.
Invece non è così.
Beh per adesso menomale.
Non sono pronta ad un figlio adesso.
A volte dimentico di dare da mangiare al mio gatto.
Sono disordinata e pasticciona.
Non cucino volentieri.
Sono troppo indipendente per mettere su famiglia.
Mi chiedo semplicemente se avrò mai dei figli.
Prima o poi.

Ho sempre detto che se a 30 anni non avrò trovato l'uomo della mia vita farò da sola.
Cercherò un ragazzo intelligente, bello (secondo i miei personali canoni), con grandi occhi buoni e sano.
Ed avrò un figlio da lui.
Non importa che lui lo sappia.
Non sono una di quelle donne a cui piace incastrare gli uomini.

La Nuke del 2013 vuole solo avere un bambino da crescere, perchè pensa che essere madri a 30 anni sia giusto.

Gli uomini hanno due modi di vedere le cose.
Alcuni pensano che il figlio sia una forma evoluta di uno sputo bianco in un buco nero.
Altri pensano che sia frutto del loro seme.
Entrambi hanno ragione.
Ci si può trovare d'accordo con l'uno e in disaccordo con l'altro, ma dobbiamo riconoscere la ragione di entrambi.
Naturalmente spero di incontrare esemplari della seconda categoria.
Ma non è detto che crescerei un figlio con uno di loro.

Stanotte ho sognato me stessa.
Avevo una sigaretta tra le dita e ridevo.
Eppure era uno dei sogni più tristi che abbia mai fatto.


mercoledì 7 novembre 2007

Gli amici immaginari di casa Nuke

Il caffè vero la mattina, le valigie in mezzo alla stanza, doverle scavalcare ogni volta, il mio orso di peluche rosa shokking che tiene caldo a qualcuno che non è me, gli spazzolini in bagno, i liquidi ed i contenitori per le lenti, la pasta a quantità industriale, i taralli, la teQUIla, la quiche, le birre strane e buone, i parcheggi strambi, boccoli, formaggi buoni, le strade di lucca, le mani in tasca, scarpe che camminano vicine, parrucche, treni, macchinette di merendine, bacchette magiche, libri, bella musica, tante sedie, la mia tovaglia blu, bicchieri, una sigaretta fumata sul terrazzo anche se fa freddo, il gatto con gli stivali, la cintura del mio cappotto nuovo, una sciarpa storpia, porte aperte, il bagno sempre occupato, occhi, risate, canzoncine stupide cantate a loop, flashback, bella e stravagante, vagoni pieni, ginocchia vicine, parlare per sguardi, sorridere, conoscersi da sempre, capire, dormire vicino, intrecciare dita, fotografie, dettagli, gente, cosplayer, ghiaia, calze smagliate, alberi in fiamme, lezioni di dizione, drughi, freddo, caldo improbabile, maglioni a collo alto, labbra screpolate, sapori nuovi, un odore, guanti guaritori, una casa fantasma, gettarsi sul prato a faccia in giù, correre, non pensare...
non pensare...
non pensare...

Madonna che silenzio c'è stasera.

Ho una casa enorme.
Gli spazi mi stanno improvvisamente larghi.
Il silenzio che mi piaceva tanto, e in cui mi muovevo, adesso è soltanto triste.
Mi aspetto da un secondo all'altro qualche rumore estraneo.
Qualcuno che russa.
Qualcuno che mi chiama.
"Nuuuukeeee...puoi venire un attimo?"
E io che fingo di alzarmi controvoglia dal divano letto aperto e sommerso di coperte.
Mentre le dita di qualcuno tikkettano sulla tastiera e nell'aria si sente della musica che è nel mio computer ma che non ascolto mai.
Adesso il divano letto è chiuso.
È solo un divano blu con dei cuscini blu.
Blue...
Sono seduta sulla poltrona con le gambe incrociate e fisso la pagina bianca del blocco note da ieri.
Cercando di mettere su carta questo Lucca Comics and Games Duemilaessette.
Non si può.
Non sono brava con le parole, me la cavo meglio con i disegni.
Ed anche con quelli adesso mi trovo in difficoltà...

Gli amici immaginari ti impediscono di impazzire.
Gli amici immaginari sono la più potente medicina contro la routine e la solitudine e la tristezza.
Ma non sono altro che amici immaginari...
Quando diventano reali è tutta un'altra storia...
Quel calduccio che senti al centro del petto non si può disegnare.
Quando guardi negli occhi qualcuno e ci vedi la calma di un bambino...
Quando guardi negli occhi qualcun'altro e ci vedi un mare in tempesta che non sa trovare pace, ma che per un attimo seppur breve si ferma...
Quando guardi negli occhi qualcun'altro ancora e tutto il resto svanisce e tu diventi aria, terra, fuoco, acqua tutto insieme in un'unico sospiro...
Sono cose che non puoi disegnare.
Io non ne sono capace.
Anche se ne ho terribilmente bisogno...

Proprio in questi giorni una grande persona ha detto che l'arte è arte se nasce da una necessità. Altrimenti è solo un fare qualcosa.
Dice anche che noi siamo i burattinai di noi stessi. Che i nostri fili fanno un giro pazzesco, passano sulle nuvole e poi ridiscendono fino ai piedi.

Non sono mai stata di questa opinione.
In questi giorni si.
Forse non sono mai stata me stessa come adesso.
Forse è stata la necessità di far conoscere la Nuke a delle persone - - -
persone ...

Sono i miei amici immaginari.
Doverli vedere ritornare nel foglio ha fatto più male di qualsiasi altra cosa.
Perchè non credevo che la vera felicità quella pura quella unica quella utopica, potesse esistere.
E non avrei mai immaginato che fosse dolorosa.